Appunti Medicina

lezione 1/12/2011, prof. Lauricella

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sarahdimiceli
CAT_IMG Posted on 1/12/2011, 23:04




BIOCHIMICA
LEZIONE DELL’1 DICEMBRE 2011
ARGOMENTO: DIABETE
Il difetto nella produzione o nella risposta all’insulina è una caratteristica di una patologia molto seria: il DIABETE. Il diabete è una malattia seria non soltanto perché c’è un’alterazione del quadro metabolico, ma anche perché ci sono tutta una serie di complicanze micro e macrovascolari, come la NEFROPATIA DIABETICA o RETINOPATIA DIABETICA o alterazioni delle grosse arterie che sono stati messi in rapporto con l’IPERGLICEMIA non transitoria ma costante che è caratteristica della malattia diabetica. Si distinguono un DIABETE DI TIPO I e un DIABETE DI TIPO II. Il diabete di primo tipo è giovanile e la sua insorgenza si riscontra in età adolescenziale o comunque entro i20 anni. Il diabete di secondo tipo, invece, insorge in età più avanzata. Il diabete di tipo I è meno rappresentato: solo il 10% degli individui malati presenta questo tipo di diabete. Ci sono anche altre forme di diabete, associate ad altre patologie, come un difetto della funzionalità dell’asse ipotalamo-corticale del surrene oppure alterazioni derivanti dalla somministrazione di farmaci. Il diabete di tipo I è chiamato DIABETE INSULINO-DIPENDENTE perché c’è un difetto nelle cellule BETA DEL PANCREAS che non riescono più a produrre insulina: è dipendente nel senso che l’insulina non viene prodotta e tutte le conseguenze di un alterato quadro metabolico dipendono dalla mancata di produzione di insuline. Questo tipo di diabete ha come trattamento di elezione la somministrazione di insulina esogena, oggi prodotta con il DNA ricombinante da insulina umana. Il diabete di tipo II è molto più complesso: inizialmente venne chiamato insulino-indipendente, in realtà oggi si parla di INSULINO-RESISTENTE. Ci sono tutta una serie di alterazioni di tipo genetico e non che determinano una resistenza delle cellule all’insulina: il soggetto produce insulina (addirittura in un soggetto con diabete di tipo II almeno inizialmente si può riscontrare un’IPERINSULINEMIA) però le cellule non rispondono all’insulina perché c’è un’alterazione dei meccanismi di risposta all’insulina. È più complesso anche trattare il diabete di tipo II essendo un problema multifattoriale. Qualunque sia la forma diabetica, caratteristica comune è l’IPERGLICEMIA. Per diagnosticare il diabete ci sono 2 test che riguardano sempre il dosaggio del glucosio:
1. Controllare il dosaggio del glucosio a digiuno, considerando un digiuno di almeno 8-10 ore. Normalmente il livello di glicemia varia da 80-110 mg per 100 ml; se il livello di glicemia a digiuno è 126 mg per 100 ml (valore preso come riferimento), il soggetto sarà malato.
2. Controllare il livello di glucosio dopo aver assunto una certa quantità standard di glucosio in vari tempi. In questo modo si crea la cosiddetta CURVA di CARICO del GLUCOSIO: normalmente dopo aver assunto carboidrati c’è un rapido aumento di glicemia (con un massimo intorno ad 1 ora), ma in un soggetto in cui funziona l’insulina, in 2 ore il livello di glicemia torna normale. Nel soggetto diabetico dopo 2 ore troveremo un livello che è almeno di 200mg per 100ml.
Il diabete di tipo I è una patologia AUTOIMMUNE: il corpo comincia a produrre autoanticorpi (le cause risultano ancora sconosciute) che distruggono le cellule beta del pancreas causando una produzione di insulina sempre inferiore e insufficiente al fabbisogno dell’organismo. Fattori genetici, ambientali e comportamentali contribuiscono alla resistenza verso l’insulina nel diabete di tipo II: le cellule soprattutto del tessuto muscolare e adiposo non reagiscono più all’insulina. In risposta al mancato apporto di insulina, a causa dell’insulino-resistenza, immediatamente si entra in una situazione di iperglicemia. L’iperglicemia in un soggetto che una cellula beta funzionante, scatena una maggiore produzione di insulina: nei soggetti affetti da diabete di tipo II, almeno inizialmente, oltre ad esserci una condizione di iperglicemia c’è una situazione di iperinsulinemia. L’insulina, anche se prodotta in quantità maggiore, continua a non avere nessun effetto. Nei soggetti in cui la malattia diabetica è in fase avanzata, possiamo anche aspettarci che la produzione di insulina cominci a ridursi, perché, per le alterazioni del quadro complessivo metabolico del soggetto, le cellule beta del pancreas possono danneggiarsi anche a causa di un iperfunzionamento. È per questo che nei diabeti di tipo secondo, nelle fasi avanzate della malattia, bisogna spesso intervenire con l’introduzione di insulina esogena. Il diabete di tipo II è una malattia in cui c’è un insieme di fattori scatenanti e alcuni di questi sono genetici insieme a fattori ambientali e comportamentali tra cui l’OBESITA’: eccessiva introduzione di cibo che porta ad un incremento incontrollato della massa grassa e soprattutto del tessuto adiposo addominale. I geni che possono essere alterati nella malattia diabetica sono quelli che controllano il metabolismo glucidico o i traslocatori del glucosio; altre alterazioni geniche interessano l’alterazione della via della trasduzione del segnale insulinico e quindi il recettore per l’insulina (IRS) o i trasduttori del segnale (P3 chinasi della PKB); c’è inoltre un fattore che si chiama T-PAR gamma che è un fattore di trascrizione importante nel controllo del metabolismo lipidico nel tessuto adiposo (ci sono dei farmaci utilizzati nel diabete di tipo II che sono degli attivatori di T-PAR gamma); dopo di che ci sono tutta una serie di fattori e recettori, la LEPTINA, l’MPY, il recettore per la leptina che riguardano il controllo della massa corporea e se alterati contribuiscono all’accumulo di tessuto adiposo e dunque all’obesità. L’obesità dunque può dipendere da alterazioni genetiche ma può anche dipendere da fattori esclusivamente comportamentali dovuti all’eccessiva assunzione di calorie. Tra le alterazioni più consistenti riscontrate nei soggetti insulino-resistenti, vi sono quelle che riguardano la via della trasduzione del segnale insulinico. Inizialmente si parlava quasi esclusivamente di alterazioni dei recettori dell’insulina (la cellula non risponde perché il recettore è alterato), ma esistono anche (e sono le più frequenti) le alterazioni che riguardano ciò che avviene dopo e cioè IRS. IRS è il punto chiave della via trasduzione del segnale dell’insulina: quando l’insulina reagisce col recettore, il recettore si auto fosforila su tirosina e poi vengono fosforilati dei residui di tirosina di IRS. La fosforilazione su tirosina attiva IRS che va a reclutare tutta una serie di fattori come la P3 chinasi che poi determinano l’attivazione delle vie metaboliche controllate dall’insulina. Ma su IRS ci sono anche residui di serina e treonina fosforilabili ad opera di serina-treonina chiansi. È stato dimostrato che quando IRS è fosforilato su tirosina è attivo, ma ci sono delle serine-treonine chinasi che vengono attivate dalla cellula (come la M-TOR, la PKC isoforma delta, MAP chinasi , J&K) e inattivano IRS fosforilando i suoi residui di serina e treonina. Questo è un processo fisiologico perché come ogni segnale, anche quello dell’insulina deve essere acceso e spento. Ci sono però delle condizioni, soprattutto legate ad alterazioni del metabolismo lipidico e all’obesità, a causa delle quali queste serine-treonine chinasi si attivano in modo deregolato e non fisiologico. La cellula in questi casi non risponde all’insulina anche se ci sono sia insulina che recettore perché IRS è inattivo e non può fare proseguire il segnale. Il nostro organismo ha elaborato tutta una serie di segnali e una collaborazione tra tessuti, in modo tale che le dimensioni del grasso corporeo siano più o meno costanti: alterazioni di questo controllo, che possono avere origini patologiche o di abitudini comportamentali, portano ad un accumulo della massa grassa e dunque all’obesità o al contrario ad un dimagrimento eccessivo. Normalmente noi abbiamo un certo apporto calorico che nasce da quello che mangiamo: dai cibi otteniamo energia che viene utilizzata per mantenere la funzionalità degli organi, per l’attività fisica e per il mantenimento della temperatura corporea. Se, sommando questi livelli di energia, il valore è inferiore all’energia ingerita con gli alimenti, la differenza si accumulerà sotto forma di tessuto adiposo di riserva; viceversa se l’energia assunta è inferiore a quella utilizzata si utilizza l’energia di riserva del tessuto adiposo. Tutto questo è controllato dalla collaborazione tra organi quali quelli del sistema digerente. Il pancreas, ma anche il tessuto adiposo e centri ipotalamici predisposti al controllo dell’appetito. Oltre all’insulina che è un fattore di benessere energetico, lo stomaco, ad esempio, rilascia un fattore chiamato GRENINA che aumenta di livello quando non si mangia e indica un segnale di necessità energetica. Ma anche il tessuto adiposo può essere considerato un ORGANO ENDOCRINO perché produce tutta una serie di fattori che vengono chiamate ADIPOCHINE: sono dei veri e propri ormoni che vengono prodotti dal tessuto adiposo e vengono poi immessi nel sangue. Le adipochine sono dei segnalatori importa ti per il mantenimento della massa corporea e dunque un’alterata produzione di adipochine può provocare obesità. Esiste inoltre il CENTRO NERVOSO DELL’APPETITO che controlla la massa corporea e che è situato nell’ipotalamo, più precisamente nel NUCLEO ARCUATO DELL’IPOTALAMO. Tutti i segnali che provengono dalla periferia (tessuto adiposo, stomaco. Pancreas) giungono all’ipotalamo e questo risponde di conseguenza attraverso terminazioni nervose provocando l’attivazione di vie che favoriscono l’introduzione di cibo o l’attivazione di vie cataboliche di smaltimento evitando l’accumulo di sostanze. Le principali adipochine prodotte dal tessuto adiposo sono: la LEPTINA e l’ADIPONECTINA . La leptina è codificata da un gene chiamato OB (obese) perché se alterato è causa di obesità. L’adiponectina non agisce sui centri ipotalamici, ma su tessuto muscolare ed epatico. Il tessuto adiposo produce non solo adipochine, ma anche CITOCHINE INFIAMMATORIE, soprattutto TMF alfa e INTETLOCHINA 6. Il tessuto adiposo produce più citochine infiammatorie quando aumenta di dimensione e dunque l’obesità porta anche ad un aumento del numero di processi infiammatori. La leptina è prodotta dal tessuto adiposo nel momento in cui aumentano le dimensioni dell’adipocita e dunque rappresenta un segnale di benessere. Se noi abbiamo un incremento di calorie rispetto alla possibilità di spenderle, noi le accumuliamo sotto forma di trigliceridi di deposito e il tessuto adiposo aumenta di dimensioni producendo leptina. La leptina agisce sui centri nervosi ipotalamici determinando un segnale che si traduce in sazietà e attivando a livello ipotalamico dei circuiti catabolici: controlla la fame segnalando sazietà e dispende energia attivando processi catabolici quali lipolisi e beta ossidazione in modo da smaltire l’eccesso. In questo modo si cerca di ridimensionare la mole di tessuto adiposo o comunque evitarne l’ulteriore incremento. La leptina è dunque in grado di superare la barriera emato-encefalica e raggiungere il centro di controllo dell’appetito nell’ipotalamo. Nel nucleo arcuato dell’ipotalamo ci sono neuroni di 2 tipi: neuroni ANORESSIGENICI o catabolici e neuroni ORESSIGENICI o anabolici. Se viene stimolato il neurone anoressigenico, in risposta si attiveranno vie cataboliche e dunque sarà stimolato da vie di sazietà; al contrario un segnale di appetito ( come quello avviato dalla grenina del tessuto gastrico) attiverà il neurone oressigenico che attiverà vie anaboliche che stimoleranno la fame. Questi neuroni di primo livello sono a contatto con neuroni ipotalamici chiamati NEURONI del MANGIA DI Più o del MANGIA DI MENO: la leptina e l’insulina a livello ipotalamico stimolano il neurone anoressigenico che stimolerà dei circuiti che segnaleranno da un lato il mangia di meno (determinando una sensazione di sazietà) e dall’altro lato attiveranno dei circuiti che porteranno al catabolismo; se noi abbiamo uno svuotamento gastrico, lo stomaco produce grenina che stimolerà il neurone oressigenico che a sua volta contatterà centri superiori stimolando l’appetito. il neurone anoressigenico produce l’alfa-MSH, mediatore delle risposte cataboliche; l’oressigenico produce il fasttore NPY o AGUTI che è uno dei geni che nell’obesità II può essere mutato. Questi fattori se alterati causano un’obesità di tipo genetico. La leptina ha un recettore associato alla via di trasduzione JACK-STAT e cioè associato a quelle vie di trasduzione del segnale mitogenico dei recettori a tirosina chinasi anomali : la tirosina chinasi non è presente nel recettore, ma una volta che il recettore è attivato, attiva una tirosina chinasi. La leptina lega un recettore che non è una tirosina chinasi, ma nel momento in cui lega, la leptina dimerizza e attiva la chinasi jack che a sua volta attiva stat, il quale è un fattore di trascrizione che agisce a livello nucleare. Quando la leptina agisce sui neuroni anoressigenici attraverso questa via, arriva a livello del nucleo dove determina la trascrizione del gene POMC (gene pro-opio-melano-cortina). Il gene POMC viene trascritto e tradotto in un polipeptide di grandi dimensioni, il quale viene poi frammentato e dalla cui frammentazione differenziale si ottengono tutta una serie di ormoni o fattori importanti, quali ad esempio la CTH che controlla il rilascio del cortisolo o dell’aldosterone, i peptidi oppioidi che nel sistema nervoso hanno azione analgesica (ENDORFINE), l’alfa-MSH responsabile della mediazione dei segnali del neurone anoressigenico. Se la leptina agisce sul neurone anoressigenico attivando la trascrizione di POMC, l’obiettivo è quello di aumentare la produzione delle melanocortine e in particolare l’alfa-MSH. Da un lato la leptina stimola dunque il neurone anoressigenico, il quale controlla centri superiori il cui risultato è un senso di sazietà; dall’altro lato attiva vie cataboliche e a partire dal nucleo arcuato dell’ipotalamo vengono stimolati neuroni noradrenergici che raggiungono il tessuto adiposo: il tessuto adiposo produce la leptina che agisce sull’ipotalamo che attiva dei circuiti noradrenergici che vanno a finire di nuovo nel tessuto adiposo per attivare dei recettori beta che sono collegati con la via dell’adenilato-ciclasi attivandoli e incrementando così il livello della PKA. In risposta all’incremento della PKA, la cellula del tessuto adiposo risponde attivando la lipolisi e la beta-ossidazione e quindi provocando una riduzione della massa corporea. Oltre a questo, vengono inoltre trascritte le proteine disaccoppianti, le TERMOGENINE, dei canali che si pongono nella membrana mitocondriale interna facendo dissipare il gradiente senza produrre ATP, ma calore. Le termogenine sono molto diffuse nel tessuto adiposo bruno e questo provoca un’ulteriore dissipazione di energia sotto forma di calore favorendo eventi catabolici di smaltimento della componente lipidica aumentando la termogenesi . esistono però delle situazioni legate agli ormoni tiroidei che aumentano la produzione di termogenine anche nel tessuto adiposo bianco. La leptina non agisce soltanto in questo in questo modo, perché ha anche recettori nei tessuti muscolari ed epatici e in questi tessuti attiva la beta-ossidazione di acidi grassi. L’ adiponectina è rilasciata dal tessuto adiposo quando questo diminuisce di dimensioni ed è dunque un segnale di necessità energetico. L’adiponectina non agisce su centri nervosi, ma in risposta ad essa c’è un adattamento metabolico dell’organismo mediato da una chinasi . l’adiponectina ha come target muscolo e fegato, nei quali agisce favorendo eventi ossidativi sugli acidi grassi e permettendo la diminuzione della gluconeogenesi epatica e la sintesi dei trigliceridi nel tessuto adiposo. L’adiponectina aumenta l’utilizzo dei nutrienti perche si ha una condizione di necessità energetica: il fatto che si attivino dei segnali di utilizza mento del glucosio e degli acidi grassi nel tessuto adiposo, muscilare ed epatico, ha il significato di utilizzare nutrienti per cercare di dare all’organismo energia perché c’è una situazione di difficoltà perché c’è una diminuzione della massa. L’adiponectina ha un’altra funzione importante perché reprime nel tessuto adiposo la produzione di citochine infiammatorie. In un soggetto obeso, in cui aumenta la dimensione degli adipociti, l’adiponectina sarà bassa e in risposta alle basse produzioni di adiponectina c’è un maggiore rilascio di citochine infiammatorie. Oggi c’è un modo per valutare se un soggetto è sottopeso, normopeso, sovrappeso o obeso: il BMI, l’INDICE DI MASSA CORPOREA, che equivale al rapporto tra peso in kg fratto l’altezza in metri al quadrato. Se questo indice è inferiore a 18.5 siamo sottopeso, se è compreso tra 18.5 e 24.9 siamo normopeso, se supera i 25 ma rimane entro i 30 siamo sovrappeso, se supera 30 siamo in una condizione di obesità. il grasso addominale è un fattore di rischio per molte patologie tra cui il diabete e numerose malattie cardiovascolari. L’obesità può essere risultato di una mutazione genetica, di geni che controllano la massa corporea oppure di un’alimentazione non corretta. Tra i geni che possono essere alterati nell’obesità troviamo i geni che codificano per la leptina, il recettore per la leptina, il gene AGUTI che codifica per MPY o altri ancora.
 
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